Riportiamo e commentiamo la sentenza n. 660/2020 del 31 dicembre 2020 emessa dal Tribunale di La Spezia in materia di risarcimento del danno per errata od omessa diagnosi su un animale domestico.
Si tratta del caso di un veterinario che non si era accorto che l’animale, un cucciolo di rottweiler di 4 mesi, aveva ingerito alcuni oggetti, che gli avevano provocato un’occlusione intestinale dalla quale è derivata la morte per peritonite, dopo tre giorni di vomito e dolori intensi.
I genitori della bambina, padrone del cane, hanno agito in giudizio contro il veterinario per essere risarciti sia dei danni patrimoniali sia dei danni non patrimoniali provocati dalla prematura e inaspettata morte del cane, sostenendo che il professionista non aveva prestato le cure appropriate al caso.
I fatti di causa
Nel corso del giudizio, è emerso che il cane all’insaputa dei padroni, aveva ingerito ben sei tettarelle da biberon.
Il veterinario, durante la visita e gli esami gastrointestinali (compresa una radiografia addominale), non aveva rilevato la presenza di questi corpi estranei nello stomaco e nell’intestino.
Nonostante il vomito continuo e la visibile sofferenza addominale, il cane non era stato sottoposto ad accertamenti clinici più approfonditi.
Durante il processo, il Tribunale ha nominato un C.T.U. (consulente tecnico d’ufficio) che, nella propria relazione, ha rilevato come sia stata omessa la necessaria terapia chirurgica consistente nella rimozione della causa dell’occlusione intestinale, da cui è derivata la perforazione con peritonite settica che ha provocato la morte del cane.
Il C.T.U. ha affermato che, se l’intervento chirurgico fosse stato eseguito il giorno stesso della visita del veterinario, o entro il successivo, molto probabilmente (con un tasso di sopravvivenza fra l’83% ed il 99%) il cane sarebbe sopravvissuto.
Il tribunale si è pronunciato affermando i principi che regolano la responsabilità medico-veterinaria ed ha stabilito i criteri per operare il risarcimento dovuto ai danneggiati.
Il tribunale, nell’affermare la responsabilità risarcitoria, ha applicato il criterio del “più probabile che non”, in base al quale con buona probabilità una tempestiva operazione chirurgica per la rimozione dei corpi estranei avrebbe evitato l’evento letale.
La responsabilità del veterinario si fonda su un criterio di diligenza nell’eseguire le prestazioni: deve assicurare il massimo impegno, ma non è tenuto a garantire il risultato.
Si tratta, quindi, di una responsabilità analoga a quella della colpa medica per errata diagnosi o comunque per negligenza o imperizia nell’eseguire le attività dovute e richieste dal caso clinico sottopostogli.
Può accadere però che il caso sia complesso (una malattia rara, una patologia sopravvenuta, un intervento chirurgico difficile) ed allora interviene una norma del Codice civile che limita la responsabilità risarcitoria del professionista ai soli casi di dolo o di colpa grave quando «la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà».
Nel valutare le responsabilità, il giudice ha anche accertato che l’evento morte era dovuto sia alla condotta del medico, che non aveva rilevato l’ingestione degli oggetti, sia anche dei proprietari, che non avevano sorvegliato il cucciolo e non si erano accorti che le tettarelle del biberon erano sparite.
In questi casi, infatti, non si può affermare che la morte del cane fosse dovuta esclusivamente alla colpa del veterinario: c’è anche una parziale responsabilità dei padroni dell’animale, imputando la responsabilità per la morte del cucciolo in pari misura ad entrambi, nella misura del 50% ciascuno.
Una volta accertata la responsabilità veterinaria, occorre stabilire quali danni sono risarcibili. Anche a questa importante domanda ha risposto il tribunale di La Spezia.
Secondo il giudice, innanzitutto sono risarcibili i danni patrimoniali, consistenti nel valore monetario dell’animale e che comprendono anche tutte le spese mediche e legali sostenute per curare la patologia e per accertare le cause del decesso.
Ma possono essere risarciti anche i danni non patrimoniali derivati ai proprietari dalla morte dell’animale. Sotto questo profilo viene in rilievo il danno biologico consistente nella lesione della salute psicofisica del padrone e dei suoi familiari affezionati all’animale.
Il tribunale ha riconosciuto che il rapporto tra il padrone ed il suo animale d’affezione esprime «una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale» e quindi «rileva come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione», che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Perciò, la lesione di questo rapporto affettivo, provocata dalla perdita dell’animale, è risarcibile, come già affermato in varie occasioni dalla giurisprudenza.
Il giudice ha riconosciuto alla bimba la somma di 1.000 euro (più rivalutazione monetaria ed interessi) a titolo di danno non patrimoniale oltre ad euro 2.756 riconosciuti per il danno patrimoniale, consistente nel valore venale dell’animale e nelle spese sostenute.