Per capire quando alla moglie non spetta alcun mantenimento bisogna individuare i casi in cui tale assegno sia dovuto.
Partiamo dicendo che la legge prevede che l’assegno di mantenimento va pagato tutte le volte in cui c’è una sproporzione di reddito tra il marito e la moglie.
In pratica quando uno dei due coniugi è senza stipendio e un patrimonio con cui vivere (ad esempio degli immobili da dare in affitto), sicché la sua condizione economica è più svantaggiata rispetto all’altro, quest’ultimo è tenuto ad aiutarlo con un contributo.
Contributo che può essere mensile oppure, su accordo delle parti, versato una tantum, ossia con un unico pagamento all’atto della separazione (quest’ultima soluzione è quella meno utilizzata).
ln particolare il coniuge che ha un reddito più basso ha diritto ad ottenere:
- subito dopo la separazione, un contributo che gli consenta di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva quando ancora era sposato (è il cosiddetto assegno di mantenimento);
- subito dopo il divorzio, un contributo che gli consenta di mantenersi da solo ossia di essere autosufficiente (è il cosiddetto assegno divorzile, che sostituisce quello di mantenimento e che, in teoria, dovrebbe essere più basso di quest’ultimo).
Da ciò deriva la sostanziale differenza di trattamento tra i coniugi separati (che hanno bisogno di un cuscinetto per sopperire alla mancanza di reddito determinata dall’improvvisa cessazione della convivenza) rispetto a quelli divorziati (che hanno invece l’onere di cercare un lavoro per rendersi indipendenti economicamente).
Il primo caso, quello tipico, in cui non spetta l’assegno di mantenimento è quindi quando non c’è alcun divario economico tra marito e moglie. E se l’ex occulta dei redditi e non li dichiara al fisco, si può sempre chiedere un accertamento alla polizia tributaria.
Il secondo caso è quello dell’addebito della separazione.
Il diritto all’assegno di mantenimento o a quello divorzile non spetta se il coniuge più povero è stato ritenuto dal giudice colpevole per la fine del matrimonio e ha perciò ricevuto il cosiddetto addebito nel corso della separazione giudiziale.
Dunque, per non pagare l’assegno di mantenimento è sufficiente dimostrare che l’ex ha violato le norme sul matrimonio e che quindi è responsabile per la fine dell’unione.
Il che significa provare uno dei seguenti fatti:
- il tradimento;
- l’abbandono della casa con l’intenzione di non tornarvi più (non vi rientra quindi l’allontanamento per una pausa di riflessione);
- le violenze morali o fisiche e le umiliazioni;
- l’indifferenza nei confronti del coniuge: è il caso ad esempio di chi si disinteressi della malattia del marito o della moglie e non presti assistenza o di chi si rifiuta di avere rapporti sessuali senza una valida ragione;
- il mancato contributo materiale o economico alla famiglia: è il caso del coniuge che non lavora e che, in alternativa, non bada alla casa, ma al contrario è dedito solo allo shopping, al gioco delle carte, alle uscite con gli amici, ecc.
Nel 2018 le Sezioni Unite della Cassazione hanno detto che l’assegno divorzile non può limitarsi a garantire all’ex l’autosufficienza economica, dandogli quel tanto che basta per vivere, ma deve anche valorizzare tutti gli sforzi da questi fatti, finché è durato il matrimonio, per contribuire alla ricchezza dell’ex coniuge e della famiglia.
In altre parole, bisogna riconoscere il giusto merito alle casalinghe che hanno rinunciato al lavoro e alla carriera pur di badare alla casa e ai figli, così consentendo al marito di dedicarsi all’attività lavorativa e incrementare il proprio reddito. Ciò finisce per dare al giudice un ampio potere discrezionale.
Tuttavia la giurisprudenza ha detto che, per poter riconoscere il ruolo della casalinga, è necessario che la scelta di non lavorare sia stata condivisa con il marito e non il frutto di un’autonoma decisione dettata dalla pigrizia.
Sicché, il terzo caso per non pagare l’assegno di mantenimento, consiste nel dimostrare che lo stato di disoccupazione del coniuge più debole non è stato concordato ma determinato da una arbitraria e unilaterale scelta.
Oppure bisogna dar prova che il contributo offerto alla ricchezza della famiglia è minimo: si pensi alla donna che non lavora e, ciò nonostante, non si dedica alla casa, ha la domestica, la baby sitter e passa gran parte della giornata in giro con gli amici.
Secondo il tribunale di Treviso, a prescindere dal divario reddituale e patrimoniale fra i coniugi, non vi può essere spazio per l’assegno divorzile quando non c’è stato un apprezzabile sacrificio di un coniuge, durante la vita coniugale, che abbia contribuito alla formazione e all’aumento del patrimonio dell’altro.
Un altro caso in cui non pagare l’assegno di mantenimento è quando l’ex coniuge ha un’età e un titolo di studio che gli consente un reinserimento nel mondo del lavoro e il suo stato di disoccupazione dipende da una inerzia colpevole nel reperire un lavoro.
A riguardo la giurisprudenza ha fatto un distinguo tra coloro che hanno più di 50 e che, proprio in ragione dell’età, sono tagliati fuori dal mercato occupazionale, e quelli invece più giovani che ancora possono sperare in un posto (fisso o autonomo).
In questo secondo caso, spetta a chi chiede il mantenimento dimostrare di aver fatto di tutto per rendersi indipendente economicamente, aver cercato un lavoro e non averlo trovato. Come? Inviando curricula, presentando domande di lavoro, iscrivendosi al centro per l’impiego, partecipando a concorsi e bandi, ecc. Tali prove devono essere offerte dal richiedente il mantenimento e non da chi invece lo deve versare.
Se il giudice ravvisa una inerzia colpevole della donna nel reperire una occupazione dovrà negarle il mantenimento.
Come chiarito dalla Cassazione nelle più recenti pronunce, la presenza di mezzi adeguati o la possibilità di procurarseli comporta la negazione del diritto all’assegno divorzile.
Pertanto il giudice, per stabilire se attribuire o meno un assegno, deve verificare, in primo luogo, se sussiste un divario rilevante nella situazione economica delle parti.
Se questo non emerge al richiedente non andrà riconosciuto alcun diritto al mantenimento.
In caso contrario, invece, ossia se emerge il divario rilevante deve comprendersi quale sia la causa che lo determina, in quanto sarà disposta la corresponsione dell’assegno soltanto se lo squilibrio sia conseguenza anche dei sacrifici effettuati dal richiedente.
Andranno, infine, valutati altri elementi fra cui la durata del matrimonio. Tanto più è stata breve l’unione, tanto inferiore è l’importo del mantenimento.