Il termine «legittima difesa» è ormai entrato nel linguaggio comune ed è un istituto giuridico che permette all’autore del reato di non essere punito per il reato che ha commesso in quanto l’ha commesso soltanto per difendersi da un’aggressione.
Se questa è la spiegazione formale, quella sostanziale ce la da il codice penale che definisce la legittima difesa come una causa di giustificazione del reato, detta anche scriminante.
Le cause di giustificazione hanno il compito di risolvere una contraddizione all’interno dell’ordinamento giuridico; il diritto infatti non può tollerare di punire una persona che ha commesso un reato soltanto per esercitare un proprio diritto o difendere un proprio interesse tutelato dalla legge.
Bisogna però ricordare che chi invoca la legittima difesa ha comunque commesso un reato.
In una situazione di questo tipo lo Stato deve tutelare contemporaneamente due interessi: da una parte quello a perseguire e punire chi ha commesso un crimine (per esempio, ferire o uccidere il proprio aggressore) e dall’altra parte l’interesse a fare in modo che ciascuno possa difendere sé stesso o un’altra persona da un male ingiusto, non avendo modo di ricorrere all’intervento dello Stato.
Quale dei due interessi prevale?
La valutazione è rimessa al giudice che deve giudicare se nel caso concreto sussistono tutti i requisiti previsti dalla legge per la legittima difesa.
Per poter configurare la legittima difesa i requisiti che la legge richiede sono:
– la necessità della difesa;
– l’attualità del pericolo;
– l’involontarietà del pericolo;
– l’ingiustizia dell’offesa;
– la proporzionalità tra l’offesa e la reazione.
L’applicazione della legittima difesa porterà il Giudice penale ad archiviare le indagini oppure, nel caso in cui il procedimento penale sia entrato nella fase del cosiddetto dibattimento, ad assolvere l’imputato «perché il fatto non costituisce reato».
Difendersi da soli è ammesso soltanto quando non è possibile fare altrimenti, cioè soltanto quando non è possibile ricorrere alle forze dell’ordine o sottrarsi all’aggressione senza pericolo.
Se l’aggressore punta una pistola alla tempia e minaccia di premere il grilletto la legge non può aspettarsi che la vittima rimanga inerte ad aspettare la morte: in quel caso reagire è legittimo.
Se invece esiste una via di fuga, è quella la strada da seguire, non potendo ne dovendo reagire.
Insomma, la reazione è legittima soltanto quando l’unica alternativa alla difesa sarebbe soccombere.
La difesa è ammessa, se necessaria, anche nel caso in cui si debba difendere un diritto altrui.
Per reagire e difendersi occorre che il pericolo dell’aggressione sia attuale e concreto.
Non è attuale il pericolo passato, tipico esempio dell’aggressore che scappa.
Se gli esami eseguiti sul corpo della vittima dimostrano che i proiettili sono stati sparati alla schiena, può significare che l’aggressore se ne stava andando: ciò vale a dire che il pericolo era già passato e non era quindi più attuale.
Al cittadino infatti non è concesso reagire soltanto per vendetta o ritorsione;
Non è attuale neppure il pericolo futuro ed eventuale: non è possibile invocare la legittima difesa commettendo un omicidio giustificato dal fatto che, magari, c’era un clima di tensione o c’era la possibilità che il soggetto potesse essere violento.
Inoltre, la legge non giustifica chi si è messo volontariamente e consapevolmente in pericolo, ben sapendo che a causa della situazione pericolosa sarebbero derivate alte probabilità di commettere un reato.
È il caso per esempio della sfida, della provocazione e della rissa.
In questi casi tutti i soggetti coinvolti sono mossi da intenti aggressivi e pertanto non potranno essere giustificati in alcun modo, sapendo già per certo (o altamente probabile) che dall’accettazione della sfida o della provocazione può derivare la necessità di commettere un reato.
Deve esserci proporzionalità anche tra le modalità dell’aggressione e le modalità della difesa: la reazione deve infatti essere la meno grave possibile. Non può essere riconosciuta la legittima difesa quando la reazione poteva essere diversa e meno grave rispetto a quella che si è verificata (per esempio, non è legittima difesa sparare quando puoi limitarti ad immobilizzare l’aggressore).
Andiamo adesso all’aspetto pratico: come ci si difende in casa o nei luoghi di lavoro o abituali?
Cosa succede se l’arma è risultata finta?
La legge non può pretendere che una persona aspetti di verificare sulla propria pelle se l’arma dell’aggressore è vera.
Nel caso in cui si scopra solo successivamente che l’arma era finta, come nel caso di una pistola giocattolo, l’aggredito che abbia reagito e si sia difeso potrà comunque essere giustificato.
La legge prevede infatti che l’aggredito possa invocare la legittima difesa anche quando non vi è una vera e propria necessità oggettiva (perché, per esempio, la pistola è finta o scarica e quindi non può arrecare alcuna offesa) e tuttavia egli è convinto della necessità di difendersi, perché tutte le circostanze concrete glielo fanno credere.
In questi casi si parla di legittima difesa putativa (dal latino «putare», che significa «credere») e basta a giustificare la commissione del reato, purché il timore del pericolo di aggressione sia fondato su oggettivi ed univoci elementi di fatto: una pistola giocattolo uguale in tutto e per tutto ad una pistola vera è idonea a far sorgere nell’aggredito il timore per la propria incolumità e giustifica quindi la reazione, anche se nella realtà dei fatti l’arma finta non può ferire.
Tutte le regole esposte non cambiano neppure se l’aggressione avviene in casa o presso il posto di lavoro.
Tuttavia, in caso di aggressione in casa propria o anche in locali adibiti a pubblici esercizi (bar, negozi, ristoranti, gioiellerie ecc.), la legge ritiene sussistente la proporzionalità tra aggressione e difesa, senza necessità di provarla come avviene negli altri casi, ma soltanto quando:
– se l’aggredito che si è difeso si trova nei luoghi sopra indicati legittimamente, ossia qualora abbia diritto a starvi, per esempio perché il luogo è di sua proprietà o ha comunque un titolo per abitarvi (un contratto di locazione, comodato, usufrutto ecc.) o perché è stato invitato o ospitato dal proprietario o perché vi lavora (pensa al dipendente di un negozio);
– se la difesa avviene con un’arma e questa è legittimamente detenuta;
– se la reazione è necessaria per proteggere l’incolumità dell’aggredito o quella di un terzo;
– se la reazione è necessaria per proteggere beni materiali, ma solo quando l’aggressore non desiste dalla propria azione oppure quando vi è pericolo di aggressione all’incolumità personale.
E’ evidente che, anche nella propria abitazione o nel proprio negozio non è assolutamente possibile fare quello che si vuole.
Anzi, la legge prevede che si possa sparare soltanto se è in pericolo la propria incolumità e dovranno essere rispettati anche gli altri requisiti della legittima difesa, in particolare l’attualità del pericolo, ma soprattutto la necessità della difesa.