E’ ben noto che l’allarmante progressione dell’emergenza epidemiologica, legata alla diffusione del Covid-19, ha richiesto misure più stringenti su tutto il territorio nazionale.
Difatti, il nuovo Dpcm del 24 ottobre emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha imposto un semi-lockdown su tutto il territorio italiano; ciò accanto alla possibilità per i Governatori delle singole Regioni di applicare provvedimenti più restrittivi, com’è stato fatto ad esempio in Sicilia, ove dalle 23 fino alle 5 del mattino vige il coprifuoco completo.
In particolare, è stata prevista una pesante stretta soprattutto a carico degli (incolpevoli) esercenti attività commerciali appartenenti alle categorie della ristorazione, del cinema e del teatro.
Per i primi è stato previsto che le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5:00 fino alle 18:00
Dopo le 18:00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico mentre è consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitaria.
È consentita fino alle ore 24 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.
Proprio a seguito di tali pesanti restrizioni, i titolari di queste attività protestano per strada e chiedono di poter lavorare.
Altri, invece, pensano che disobbedire alle nuove norme non solo sia legittimo, ma anche economicamente conveniente; infatti, tenere l’attività economica aperta comporterebbe “solamente” il rischio di una sanzione pecuniaria che va da un minimo di 400 a un massimo di 3.000 euro.
Deve immediatamente dirsi che il mancato rispetto delle nuove disposizioni ha, come effetto, quello di generare la disobbedienza civile.
Essa consistente nella trasgressione di una legge o, più in generale, di un provvedimento di un’autorità pubblica, realizzata da un gruppo di soggetti, il più delle volte su iniziativa di un singolo individuo, sulla base della convinzione che l’obbligo imposto sia ingiusto in relazione ad un valore superiore.
Chi si rende protagonista di una tale iniziativa persegue un duplice obiettivo: uno volto ad evidenziare pubblicamente la presunta ingiustizia dell’atto in oggetto, attraverso azioni od omissioni che suscitano clamore e che diano esposizione mediatica e l’altro tendenzialmente più lento, poiché è diretto ad influire sul Legislatore con l’intento di ottenere la modifica o l’abrogazione dell’atto.
In altre parole, la disobbedienza civile consiste nel rifiuto di rispettare una legge che, secondo la propria intima convinzione, si ritiene ingiusta o illegittima.
La disobbedienza civile, in quanto atto di ribellione proveniente da più persone nei confronti di una o più leggi ritenute in conflitto con i principi morali propri e dell’intera società, non è contemplata dal nostro ordinamento e si pone in contrasto con esso.
Ebbene, l’esercente un’attività commerciale rientrante tra quelle colpite dal DPCM, se decide di trasgredire alle regole imposte, rischia di dover pagare una sanzione economica che va da un minimo di quattrocento a un massimo di tremila euro.
A questo tipo di sanzione si aggiunge l’obbligo di chiusura, da cinque a trenta giorni, quale sanzione irrogata dal Prefetto.
In caso di recidiva, cioè di nuova violazione delle norme sul lockdown, la sanzione pecuniaria amministrativa è raddoppiata, mentre quella dell’obbligo di chiusura è applicata nella misura massima (trenta giorni).
Se neanche le misure appena descritte dovessero scoraggiare una disobbedienza civile al lockdown allora occorre sapere che la violazione delle norme contro la pandemia può far incorrere in conseguenze penali.
Innanzitutto, il Codice penale stabilisce che chi non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro.
Ma vi è di più.
Nel caso di disobbedienza al lockdown, infatti, potrebbe scattare il più grave reato di inosservanza delle norme per impedire la diffusione di una malattia infettiva.
Secondo la legge, chi non osserva un ordine dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto da tre mesi a diciotto mesi e con l’ammenda da 500 a 5.000 euro.
Ulteriori conseguenze possono nascere se, chi trasgredisce a tali regole, si adopera per convincere altri colleghi a comportarsi allo stesso modo.
Difatti, il nostro codice penale prevede, all’art. 415, che “è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico”.
Insomma: rifiutarsi di chiudere la propria attività commerciale può comportare una mera sanzione economica, l’obbligo di chiusura stabilito dal Prefetto o, nei casi più gravi, l’arresto.