A distanza dal terribile evento del crollo del ponte Morandi avvenuto la mattina del 14 agosto 2018, le polemiche non cennano a placarsi e, mentre le ricerche sono ancora in corso, il Consiglio dei Ministri ha stanziato cinque milioni di euro per i primi interventi.
La ricerca della verità, per ovvi motivi, tende a puntare il dito sulle cause e sui responsabili di tale disastro, fintanto che, dallo stesso Governo, arriva la “minaccia” della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, accusata di non aver curato, come dovuto, la manutenzione del ponte.
Ma, giuridicamente, la revoca è davvero possibile?
Se possibile, è anche “economicamente conveniente”?
Partiamo dicendo che l’originaria “convenzione” trentennale (in realtà una subconcessione, dal momento che l’ANAS era già a sua volta concessionaria del Ministero dei lavori pubblici), è stata stipulata nel 1997 tra l’Ente ANAS, poi divenuto ANAS Spa in data 18 dicembre 2002, e la Autostrade Spa, alla quale è poi subentrata la Autostrade per l’Italia Spa (ASPI).
La suddetta convenzione è stata oggetto di attenta analisi da parte dell’ANAC (Autorità Anti Corruzione) la quale, con relazione dell’8 giugno 2006, aveva suggerito di ” prevedere un sistema graduale di misure sanzionatorie (penali convenzionali, ecc.) che permettano forme più stringenti di controllo sui singoli investimenti, dal momento che la misura estrema della decadenza dell’intera concessione è logicamente legata ad una valutazione complessiva del comportamento della concessionaria che può essere difficile supportare…“
Il 12 ottobre 2007 veniva firmato lo schema della nuova convenzione tra ANAS (Concedente) e ASPI (Concessionaria).
La Convenzione Unica, con scadenza 2038, tra Aspi e Anas, prevedeva, fra le altre cose (art. 2, comma 1, lett c) il miglioramento degli standard di sicurezza e, al successivo art. 3, veniva fatto obbligo al concessionario di provvedere “al mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse“.
Obblighi che, apparentemente, non sembrerebbero esser stati adempiuti.
Passando all’ipotesi di decadenza dalla convenzione unica, questa è regolata dagli artt. 8 e 9.
Per poter validamente disporre la decadenza dalla convenzione, l’art. 8 prevede che l’inadempimento del Concessionario debba essere formalmente contestato e debba esser fissato un termine congruo entro il quale lo stesso Concessionario debba provvedere.
Trascorso infruttuosamente il termine assegnato si può avviare la procedura prevista dal successivo art. 9.
Formalmente, però, ci sono alcuni ostacoli non indifferenti.
Innanzitutto, come visto, la Convenzione richiede una preventiva contestazione delle inadempienze da parte del concedente nei confronti del concessionario, che però non è mai stata fatta.
Se è vero che con due distinte interrogazioni all’allora Ministro dei Trasporti (Del Rio) rispettivamente del 20 ottobre 2015 e del 28 aprile 2016 era stata già segnalata la precaria condizione del ponte Morandi, è anche vero che, nonostante tali interrogazioni, non è stata avviata alcuna presa di posizione né contestazione nei confronti del concessionario ASPI.
Ma il problema maggiore si pone guardando l’aspetto economico della revoca della Convenzione, quello della c.d. “penale da 20 miliardi di euro” di cui si discute tanto.
Nello specifico, l’art. 9 bis prevede che “il Concessionario avrà diritto ad un indennizzo\risarcimento a carico del concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione anche per inadempimento del Concedente , e\o comunque cessazione anticipata del rapporto di convenzione pur indotto da atti\fatti estranei alla volontà del concedente ,anche di natura straordinaria e imprevedibile“.
In altre parole ciò significa che, in tutti i casi in cui la Convenzione unica venga sciolta, anche nell’ipotesi in cui vi sia stato inadempimento da parte di Autostrade SpA, quest’ultima avrà diritto ad ottenere il pagamento di una somma di denaro imponente.
Tutto ciò si pone in netto contrasto con i basilari principi di civiltà giuridica e con le norme previste anche dal nostro ordinamento.
La penale va intesa come somma dovuta per uno scioglimento anticipato del rapporto obbligatorio, senza un motivo plausibile.
Ma nel caso in esame il motivo c’è e riporta anche una certa gravità che, ad avviso di chi scrive, avrebbe tutti i presupposti per legittimare lo scioglimento del vincolo per grave inadempimento.
Tuttavia, quella prevista nella convenzione non può definirsi “penale”, essendo, invece, una spada di Damocle che pende sul concedente pronta a cadere al primo passo falso.
Così come formulata, viene lecito domandarsi che senso ha stabilire una serie di obblighi in capo al concessionario (Autostrade S.p.A.) se, anche nel caso di suo inadempimento, lo scioglimento del vincolo contrattuale imporrebbe un sacrificio economico a carico del Concedente (lo Stato) fino ad oggi adempiente che si troverebbe costretto a dover pagare profumatamente nonostante l’inadempimento sia dell’altra parte.
La strada per la revoca della concessione, quindi, sebbene astrattamente percorribile si presenta a dir poco tortuosa ma sicuramente economicamente inaccettabile.