La caduta del ciclista è un evento piuttosto frequente purtroppo.
I ciclisti sono utenti delle strade a tutti gli effetti, al pari dei pedoni e dei conducenti di veicoli a motore. L’Ente proprietario o gestore della strada ha un preciso «obbligo di custodia», imposto dalla legge (art. 2051 del codice civile) che gli impone di sorvegliarla e di provvedere alla regolare manutenzione e alle riparazioni necessarie affinché il transito stradale avvenga sempre in condizioni di sicurezza adeguate.
Questo tipo di responsabilità si chiama “oggettiva”, ovvero sussiste per il semplice fatto che il custode ha un legame diretto con la cosa (ad esempio il Comune con la strada).
Per sfuggire a questo tipo di responsabilità il custode deve dar prova che l’incidente (nel nostro caso avvenuto ad un ciclista) è avvenuto per un «caso fortuito», cioè un evento imprevedibile ed eccezionale che ha reso impossibile un intervento tempestivo di manutenzione e riparazione della strada: ad esempio l’improvviso cedimento di un tubo fognario che ha causato il crollo dell’asfalto e l’apertura di una buca in cui è finito un ciclista che proprio in quel momento stava percorrendo quel tratto di strada.
Nella nozione del caso fortuito, però, rientra anche l’imprudenza del ciclista stesso, come quando è disattento e finisce per sbattere contro un ostacolo o cadere dentro una buca.
A tal proposito, va evidenziato che la pericolosità della cosa custodita dall’Ente proprietario o gestore della strada dipende, essenzialmente, dalla sua concreta visibilità o meno.
Quindi se il ciclista è in grado di avvistare l’ostacolo deve adottare le opportune cautele per evitarlo, altrimenti è considerato egli stesso responsabile, o quantomeno corresponsabile, della sua caduta, per non essere stato attento a prevenire una situazione di pericolo che era ben percepibile e dunque poteva essere facilmente neutralizzata con una semplice deviazione della traiettoria.
In altre parole, più è grande e visibile l’ostacolo, più difficile sarà per il ciclista (o il pedone) riuscire ad ottenere un risarcimento economico perché essendo tanto visibile, con la dovuta accortezza, avrebbe dovuto e potuto evitarlo.
Rimangono, allora, gli ostacoli piccoli, che sono proprio quelli più insidiosi, come ad esempio un piccolo dislivello o alle mattonelle di pavimentazione sconnesse.
L’ostacolo imprevisto può imporre al ciclista di deviare la traiettoria del mezzo, facendogli perdere l’equilibrio e farlo cadere.
In questi casi il risarcimento spetta ma bisogna fornire la prova dell’accaduto.
Infatti va tenuto presente che il ciclista infortunato è tenuto a provare non solo l’entità dei danni fisici riportati (lesioni personali e invalidità temporanea o permanente che ne è derivata, spese mediche e farmaceutiche, periodi di inabilità al lavoro per ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici e riabilitazione post-traumatica), ma, prima di tutto, deve dimostrare la dinamica dell’evento lesivo e, soprattutto, deve provare il c.d. “nesso causale” ovvero quel collegamento che deve esistere tra la condotta (in questo caso omissiva del Comune che non ha provveduto alla manutenzione stradale) ed il danno riportato (nel nostro caso la caduta dalla bicicletta).
Un aiuto importate, per ricostruire i fatti, può venire da eventuali testimoni che sono stati presenti durante la caduta: possono essere i compagni di passeggiata o anche persone che passavano lì per caso.
Altro elemento importante è il verbale di intervento della polizia municipale per gli opportuni rilievi dopo la caduta, insieme al referto del pronto soccorso e delle fotografie che descrivono lo stato dei luoghi.
Il verbale redatto dagli agenti della Polizia stradale o dalla Polizia locale e municipale, infatti, fa piena prova di quanto direttamente constatato dai verbalizzanti, e così l’episodio potrà ritenersi dimostrato, quantomeno per l’esistenza del fattore oggettivo che ha causato la caduta del ciclista (le dimensioni della buca, l’entità del dislivello, ecc.).