Il periodo annuale dei matrimoni è ormai concluso ma cosa avviene, per esempio, se in occasione del ricevimento nuziale il cibo non sia stato offerto in quantità adeguata al numero degli ospiti invitati al banchetto, oppure nel caso in cui sia stato servito del cibo non buono che abbia provocato una intossicazione alimentare ai commensali?
E nel caso in cui l’incarico del catering comprenda altresì il servizio di “realizzazione della torta nuziale sul momento” che, in occasione del ricevimento, si riveli esteticamente e quantitativamente difforme da quella progettata con gli sposi?
E ancora, in che modo e misura possono essere risarciti gli sposi, nell’ipotesi in cui sia stato selezionato e fornito un personale addetto al servizio, che si riveli non qualificato, inefficiente ed oggettivamente inappropriato?
In tutte le superiori ipotesi, gli sposi possono instaurare un giudizio, volto ad ottenere l’accertamento dell’esistenza del diritto nascente “da matrimonio rovinato” e, conseguentemente, chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento della parte che ha realizzato il banchetto nuziale che si sia rivelato disastroso.
Per il c.d. “danno da matrimonio rovinato” sussiste un duplice profilo di risarcimento del danno volto ad ottenere il ristoro di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti dagli sposi e causati da grave inadempimento del contratto con cui è stato conferito l’incarico di organizzare e realizzare il servizio catering.
La prova del danno è un elemento essenziale per pretendere il risarcimento.
La legge distingue due tipi di danno: il cosiddetto danno patrimoniale, ossia le spese subìte e/o i mancati guadagni, e il cosiddetto danno non patrimoniale che è tutto ciò che si risolve in una lesione non quantificabile economicamente come il dolore per un mal di pancia, la sofferenza per una perdita improvvisa di un caro a seguito di un errore medico, una difficoltà di deambulazione per qualche anno, una cicatrice sul volto, ecc.
Gli sposi che hanno subito il danno da un banchetto nuziale rovinato, o più in generale il festeggiato di un ricevimento che si sia rivelato disastroso, possono instaurare un giudizio volto ad ottenere la risoluzione del contratto di prestazione d’opera, stipulato per l’organizzazione e realizzazione del servizio catering del banchetto/ricevimento.
Orbene, una volta ottenuta la risoluzione contrattuale, secondo il disposto art. 1458 del Codice Civile, questa comporta, in favore di chi ha instaurato il giudizio, il diritto ad ottenere la restituzione delle somme già versate a titolo di acconto, ovvero, della complessiva somma pagata a saldo dell’intero importo pattuito per l’organizzazione del servizio catering.
Altro aspetto rilevante è determinato dalla inadeguata ospitalità a favore degli invitati e dal disagio vissuto dagli sposi.
Esiste, come detto, un secondo profilo di risarcimento, in ragione del danno non patrimoniale patito e subito nelle forme del danno morale, danno all’immagine, alla reputazione, etc.
In particolare, il c.d. “danno da matrimonio rovinato” consiste nei danni cagionati dal grave inadempimento contrattuale della società che ha offerto il catering, nelle forme del danno morale, esistenziale, all’immagine e alla reputazione, per quello che dovrebbe tradizionalmente essere uno dei giorni più belli della vita.
Gli sposi, dunque, possono chiedere, ed ottenere, l’integrale ristoro per il danno morale subito, soprattutto alla luce dell’enorme e radicato valore sociale riconosciuto alla cerimonia nuziale, in ragione del quale si deduce facilmente l’offesa all’interesse non patrimoniale, dedotto nel contratto di conferimento di incarico, e diretto al soddisfacimento di diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 della Costituzione.
Si pensi, infatti, allo stato di profondo e persistente dispiacere, malessere e disagio, anche in termini di reazioni ansiose, stress, nervosismo, preoccupazione e imbarazzo nei confronti dei propri ospiti, e del tutto provocato a causa di un servizio inefficiente, e diverso dalla qualità e quantità pattuita per l’organizzazione di un giorno indimenticabile come quello delle nozze.
Al fine di valutare e quantificare il danno complessivamente patito dagli sposi si dovrà tenere conto sia dell’oggettiva offesa arrecata alla reputazione e all’immagine degli sposi, sia del fatto che il grave turbamento patito, il giorno delle nozze, non può che condizionare notevolmente oltre che la luna di miele anche il ricordo indelebile di un giorno così unico.
Dunque, si procederà a richiedere un risarcimento del danno, che sarà oggetto di valutazione equitativa da parte del giudice, ai sensi dell’art. 1226 del Codice Civile.
Sul punto si è, più di recente, pronunciato il Tribunale di Paola (dott. Franco Caroleo, sent. del 15.02.2018) che, con una interessante sentenza, ha riconosciuto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno per un contratto non rispettato.
Il ragionamento fatto dalla citata sentenza è abbastanza semplice: quando c’è di mezzo un contratto, sono le parti, e non la legge, a stabilire quali sono gli interessi essenziali e inviolabili, quelli cioè per i quali si è deciso concludere l’accordo. Del resto, se è vero che il nostro ordinamento riconosce l’autonomia negoziale come principio cardine in materia di contratti, non può essere la legge a dire cosa è essenziale o meno per i contraenti. Di conseguenza, ogni grave lesione di un interesse indicato nel contratto consente il risarcimento. Ivi compreso un inadempimento che causa una brutta figura.
Sulla scorta di tali motivazioni, il giudice ha riconosciuto il danno esistenziale da inadempimento contrattualeper «matrimonio rovinato» se viene provata la sofferenza derivata dalla brutta figura che gli sposi hanno fatto con i propri invitati, nel dare l’impressione che si fossero rivolti ad una società inadeguata per l’allestimento del ricevimento, che trattava alimenti scadenti (se non proprio nocivi alla salute), così da rovinare la serata sia a se stessi che agli invitati.
Nel caso di specie, i testi hanno fornito un’impietosa ricostruzione dei fatti: alcuni invitati che si contorcevano per i forti dolori addominali; altri che affollavano i bagni della struttura; altri che, trovando i bagni occupati, si vedevano costretti a vomitare nel giardino; altri ancora che, in preda alle convulsioni, hanno dovuto abbandonare il banchetto anzitempo, chi tornando a casa e chi recandosi in Pronto Soccorso.
In questo caso il danno morale per la brutta figura, derivante dall’inadempimento contrattuale, si può identificare con la reazione, per un verso, di rabbia e dispiacere e, per altro verso, di imbarazzo (in questo caso nei confronti degli invitati).
Si tratta di una reazione che va valutata alla luce del fatto che è stata determinata dalla piena violazione di un contratto nel quale era dedotto proprio l’interesse alla felice riuscita del banchetto nuziale.