Si ha responsabilità medica quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute del paziente e la condotta dell’operatore sanitario in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria
Il 1 aprile 2017 è entrata in vigore la legge 8 marzo 2017, n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che disciplina fondamentali aspetti del ruolo e delle funzioni del medico, principalmente con l’intento di prevenire il rischio clinico, ridurre il contenzioso sulla responsabilità medica, arginare la fuga delle assicurazioni dal settore sanitario e contenere gli ingenti costi della cosiddetta medicina difensiva.
All’art. 1 è subito indicata la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute, perseguita non solo nell’interesse dell’individuo ma anche dell’intera collettività, quindi dotata di dignità normativa in relazione alla tutela individuale, costituzionalmente riconosciuta dall’art. 32 Cost., e al valore dell’erogazione delle prestazioni sanitarie come obiettivo prioritario della sanità pubblica.
L’art. 4 poi sancisce l’obbligo di trasparenza per tutte le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private, stabilendo l’obbligo per la direzione sanitaria di fornire, entro i sette giorni successivi alla richiesta di accesso da parte degli interessati, la documentazione sanitaria del paziente.
L’art. 5, infine, conferma l’evoluzione della codificazione delle linee guida elaborate dalla comunità scientifica, fondamentali per la valutazione in sede penale della condotta del sanitario.
Nell’esecuzione delle prestazioni gli operatori medici devono seguire le raccomandazioni previste dalle linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali, pubblicate in un apposito elenco istituito e regolato con Decreto ministeriale e inserito nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), da aggiornarsi ogni due anni.
Indubbiamente una delle novità più importanti della L. n. 24/2017 è data dall’art. 6 che riforma la responsabilità penale del medico.
Cinque anni prima la legge Balduzzi aveva previsto, per la prima volta, la non punibilità del fatto colposo del medico in presenza del rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e della colpa lieve (art. 3).
Proprio a tale ultimo proposito, in particolare per le difficoltà sull’interpretazione del concetto di colpa lieve nell’ambito penale, nemmeno una copiosa giurisprudenza di legittimità ha potuto raggiungere un orientamento univoco.
La riforma Gelli-Bianco interviene ad abrogare l’art. 3 della legge Balduzzi per inserire l’art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) con cui è eliminato il riferimento alla colpa lieve in precedenza richiamato, limitando la scriminante ai casi di colpa per imperizia.
Negligenza e imprudenza determinano in ogni caso la punibilità del sanitario anche se la sua condotta era in linea con le indicazioni guida, lasciando il tema della colpa medica privo di certezze interpretative.
E’ bene precisare peraltro che la norma in esame si riferisce solo ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose, rimanendo esclusi dalla sua applicazione gli altri reati, quali ad esempio l’interruzione colposa di gravidanza (art. 19 l. 194/78).
Il successivo art. 7 ha avuto il merito di dirimere un vecchio contrasto giurisprudenziale, stabilendo che la struttura sanitaria è chiamata a rispondere contrattualmente di tutto ciò che avviene all’interno del proprio ambito di competenza e, quindi, anche dell’operato dei soggetti dei quali si avvale, poco importa che siano stati scelti dal paziente.
Difatti, il comma 1, della legge numero 24/2017 sancisce a chiare lettere che “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose“.
Interessante anche il comma 2, ove si legge che “La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina“.
I pazienti danneggiati dalla condotta del proprio medico di base possono agire per ottenere il risarcimento non solo verso lo stesso sanitario, ma anche nei confronti dell’ASL di appartenenza.
La conclusione, che fino a qualche tempo fa era in realtà dibattuta, ha avuto una sua definitiva consacrazione con la legge Gelli che, in realtà, non ha fatto altro che recepire una conclusione alla quale era già giunta la Corte di Cassazione nella sentenza numero 6243/2015, ponendosi in controtendenza rispetto all’orientamento all’epoca maggioritario.
Per la Cassazione però non può non considerarsi che, ad un’attenta lettura, la legge numero 833/1978 istitutiva del SSN, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, mira a garantire i livelli minimi e uniformi delle prestazioni sanitarie da assicurare ai cittadini anche inserendo l’assistenza medico-generica tra le prestazioni curative affidate alle Asl.
In forza delle disposizioni di tale legge, le Asl erogano l’assistenza medico-generica sia in forma domiciliare che in forma ambulatoriale assicurando i livelli di prestazioni fissati dal piano sanitario nazionale.
Il paziente, nel scegliere il proprio medico di famiglia, agisce dunque nei confronti della Asl e opera un’azione destinata a produrre i suoi effetti nei confronti del SSN e non nei confronti del medico prescelto.
Sulla base di tali osservazioni, ampiamente argomentate, la Cassazione era quindi giunta già nel 2015 alla conclusione poi resa incontrovertibile dalla legge Gelli: degli errori del medico di famiglia risponde anche la struttura sanitaria.
Ancora oggi ci si domanda a che titolo rispondono i medici di base.
Ferma la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, l’impostazione della legge Gelli fa propendere per la responsabilità extracontrattuale del medico di base, così come quella degli altri medici che non agiscono nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente.
Non mancano, tuttavia, interpreti che, facendo leva sulla vocazione libero professionale dell’attività concretamente svolta dai medici di famiglia, ritengono che gli stessi siano invece chiamati rispondere a titolo contrattuale.
La differenza, in buona sostanza, verte sul termine di prescrizione dell’azione (10 anni o 5 anni a seconda della fonte di responsabilità) nonché sul diverso onere probatorio che grava in capo al paziente danneggiato, fortemente più oneroso nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale.