L’esigenza di tutela delle proprie abitazioni e dei propri cari ha indotto innumerevoli italiani a dotarsi di un impianto di videosorveglianza, posizionato all’esterno dell’abitazione, al fine di monitorare tutti i movimenti nell’area limitrofa.
Tuttavia, succede sovente che l’impianto non si limiti a inquadrare l’ingresso della propria abitazione ma si estenda anche a delle aree “non di competenza”, magari inquadrando il vialetto di ingresso dell’abitazione del vicino o direttamente l’ingresso della sua abitazione.
Come bisogna comportarsi in questi casi?
Il vicino di casa può contestare la violazione della sua privacy, magari rivolgendosi al Tribunale per chiedere di togliere le telecamere o di orientarle in modo che inquadrino solo l’ingresso e la proprietà di chi le installa?
Il problema si pone, soprattutto, se l’impianto di videosorveglianza inquadra una parte comune, ad esempio uno stesso vialetto che consente l’accesso a due abitazioni diverse e viene installato per ragioni di sicurezza.
Per prima cosa chiariamo che il diritto alla privacy del nostro vicino ed il nostro diritto alla sicurezza devono viaggiare paralleli e di pari passi.
Ogni cittadino ha il diritto di potersi tutelare anche con delle telecamere di videosorveglianza, pur non invadendo gli spazi privati dei vicini.
Si può, dunque, inquadrare il vialetto in comune in quanto, spiega il Tribunale di Avellino, si tratta «di uno spazio fisico direttamente e materialmente accessibile da parte di chiunque» e, proprio per questo, non occorre «il consenso di chicchessia».
Difatti, per rispondere alle domande che ci siamo posti è necessario partire da un presupposto basilare: non si può riprendere ciò che non è liberamente visibile a terzi (l’interno dell’appartamento del vicino, per dire) ma si può riprendere ciò che altre persone possono liberamente osservare, ad esempio il viale di ingresso comune a due o più immobili.
In questo caso, infatti, non viene a configurarsi la violazione dell’art. 615 bis del codice penale, che punisce con la reclusione fino a 4 anni le interferenze indebite nella vita privata altrui attraverso l’acquisizione di materiale visivo o sonoro.
Ciò in quanto tale reato si configura solamente nell’ipotesi in cui viene violato uno spazio riservato che appartiene ad un’altra persona al quale si accede senza il suo consenso, ma non anche quando quello spazio è potenzialmente visibile a tutti.
Partendo dal presupposto che è inquadrabile ciò che è liberamente visibile a tutti, non si può inquadrare lo spazio interno del nostro vicino recintato con alte mura (es. la zona piscina o il cortile interno), mentre si può liberamente inquadrare l’ingresso comune a due abitazioni perché è uno spazio liberamente visibile a tutti.
In tema di diritto alla riservatezza negli spazi comuni o limitrofi, spiega la Corte Costituzionale che per violare la privacy occorre che una persona abbia preso i dovuti accorgimenti per far capire al vicino quello che non deve vedere.
In altre parole è necessario adottare serie misure atte a salvaguardare la propria privacy, altrimenti non si potrà invocare tale violazione.
Lo stesso dicasi per chi decide di prendere la tintarella al balcone: se il balcone è visibile dalla strada non si potrà invocare la violazione della privacy se un passante scatta una foto, proprio perché è necessario prendere dei provvedimenti per non far vedere potenzialmente a chiunque ciò che succede nel balcone.
Infine va ricordato che la legge in materia di tutela della privacy impone il trattamento dei dati personali solo quando questi sono oggetto di comunicazione (ad esempio a scopi pubblicitari) o di diffusione.
Entrambi i casi vengono esclusi a priori dalla situazione in cui un privato mette in casa sua un impianto di videosorveglianza per uso esclusivamente personale, come può essere quello di difendersi dai ladri ed il materiale raccolto tramite le telecamere non viene ceduto a terzi.